di Silvia Di Chiara
La sentenza delle Sezioni Unite n.10244/2021 del 19.04.2021 ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto dall’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e ha accolto quello proposto separatamente dall’ANCI-Regione Calabria, avverso la sentenza del Consiglio di Stato n. 6043/2018 del 24.10.2018, che, a sua volta, nell’esame preliminare del contestato difetto di legittimazione, aveva affermato la natura di ente pubblico dell’ANCI, nonché dell’ANCI Giovani Calabria (operante al suo interno), di cui l’appellante era stato eletto coordinatore regionale (tramite atti ritenuti viziati in primo grado).
Di segno opposto, invece, risulta essere la posizione assunta dalle SU, che, tramite un articolato iter argomentativo, e ai fini della soluzione della controversia in oggetto, giungono a sostenere la natura di soggetto di diritto privato dell’ANCI (e, quindi, la giurisdizione del giudice ordinario).
Muovendo dal carattere pluralistico della PA, esse hanno affermato che se “l’art. 28 della Costituzione costituisce il riferimento normativo per qualificare lo Stato amministrazione come ente pubblico, mancano invece disposizioni normative che definiscano l’«ente pubblico» in quanto tale o che offrano sicuri indici di riferimento per la collocazione della pluralità di organismi che operano nel settore della pubblica amministrazione sotto un unico paradigma”.
Poichè, “negli ordinamenti democratici moderni non si può più affermare che lo Stato sia l’unico depositario dei valori della comunità, ben potendo gli stessi essere perseguiti anche da soggetti privati”, questi ultimi vengono in qualche modo attratti nell’ambito dell’organizzazione pubblica.
Così, “la progressiva frantumazione della pubblica amministrazione, con l’ingresso di nuovi soggetti e l’ampliamento delle funzioni svolte dagli apparati amministrativi riflette l’orientamento verso una nozione funzionale e cangiante di ente pubblico, ammettendosi senza difficoltà che uno stesso soggetto possa avere la natura di ente pubblico a certi fini e rispetto a certi istituti, e possa, invece, non averla ad altri fini, conservando rispetto ad altri istituti regimi normativi di natura privatistica”.
Da ciò deriva una mutevole “applicazione di alcune regole in luogo di altre”, in cui, però, “rimane, quale certo indice di riferimento, la scelta del legislatore di dichiarare formalmente un ente come pubblico, perché tale dichiarazione vale, come è stato osservato in dottrina, quale «espressione riassuntiva» della normativa pubblica cui il legislatore vuole sottoporre l’ente. E’, dunque, di fondamentale rilievo l’art. 4 della legge 20 marzo 1975, n. 70 [legge sul “parastato”], a norma del quale, «Salvo quanto previsto negli articoli 2 e 3, nessun nuovo ente pubblico può essere istituito o riconosciuto se non per legge».
Tale norma, esprimendo un principio generale di riserva relativa di legge, svolge una funzione attuativa, in chiave di rafforzamento, del precetto di cui all’art. 97 Cost., ove si statuisce che i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge.
Tuttavia, la norma citata non è da leggere “in un’ottica meramente formalistica, giacché il riconoscimento della qualità pubblica di un ente può trarsi anche da disposizioni che, pur senza definire in modo esplicito un soggetto come ente pubblico, gli attribuiscano prerogative e poteri di natura pubblicistica”.
Infatti, la questione della qualificazione pubblicistica di un ente va affrontata, nel caso concreto, tramite una ricerca ermeneutica basata sulla comparazione di elementi sintomatici della natura pubblica di un ente e dei dati normativo-regolamentari.
Secondo la dottrina più accreditata, gli indici di riconoscimento di enti pubblici sono individuabili in un sistema di controlli pubblici (statali o regionali); nell’ingerenza dello Stato, o di altra PA, nella nomina e nella revoca dei dirigenti, nonchè nell’amministrazione dell’ente; nella partecipazione dello Stato, o di altra PA, alla spese di gestione; nel potere di direttiva dello Stato nei confronti degli organi, in relazione al conseguimento di determinati obiettivi; nel finanziamento pubblico istituzionale; nella costituzione a iniziativa pubblica.
A tali criteri, secondo dottrina e giurisprudenza prevalenti, si aggiungono: il criterio della creazione, il criterio del fine pubblico, il criterio dei poteri pubblici, e il criterio della supremazia, secondo cui, rispettivamente, va considerata pubblica la persona giuridica istituita direttamente dallo Stato, che persegue fini pubblici, che è dotata di generici poteri pubblici connessi a una speciale competenza, e che gode di una posizione di supremazia rispetto ad altri soggetti (che può concretizzarsi, ad esempio, in un potere normativo o tributario).
Quanto detto si inserisce nella cd. “logica delle geometrie variabili”, di matrice comunitaria, in base alla quale, almeno nei settori toccati da interventi comunitari, un ente può essere considerato pubblico solo settorialmente, in relazione a determinati ambiti disciplinari, mentre nella generalità della sua azione deve considerarsi come un soggetto meramente privatistico.
Un esempio emblematico della nozione sostanzialistica della PA, riportato dalle stesse SU, è costituito dall’«organismo di diritto pubblico», “la cui nozione, di matrice europea, è stata elaborata per individuare le cd. «amministrazioni aggiudicatrici», ossia i soggetti tenuti al rispetto delle regole dell’evidenza pubblica, a prescindere dalla natura loro attribuita dai singoli ordinamenti nazionali (Cass. Sez.Un. 28 marzo 2019, n. 8673). Essi, nonostante la veste formale privatistica perlopiù assunta, sono equiparati alla pubblica amministrazione in quanto sottoposti per legge ad una disciplina di tipo pubblicistico”.
Pertanto, “sarebbe fuorviante ritenere che il mero riferimento alle «associazioni per qualsiasi fine istituite, tra le pubbliche amministrazioni», contenuto nell’art. 2 d.lgs. n. 175/2016 [TU in materia di società a partecipazione pubblica], integri il requisito del riconoscimento normativo previsto dall’art. 4 legge n. 70/1975, sì da includere nella pubblica amministrazione tutte le associazioni o fondazioni istituite da enti pubblici”.
La categoria, di matrice dottrinale, “degli enti privati che curano interessi generali”, riconosciuti esplicitamente dal legislatore in diversi settori dell’ordinamento, e che costituiscono espressione del principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 co. 4 Cost., ricomprende organismi costituiti nelle forme delle fondazioni di tipo associativo, delle associazioni e delle organizzazioni civiche, aventi natura giuridica privata, e costituenti formazioni sociali costituzionalmente protette ai sensi dell’art. 2 Cost. (si pensi alle Onlus).
Tale quadro ricomprende l’ANCI, che, così come ribadito dalle SU, è “un’associazione riconosciuta di diritto privato, iscritta al registro delle persone giuridiche presso la Prefettura di Roma dal 15 novembre 2018 […], il cui scopo è quello di tutelare e rappresentare gli interessi generali dei comuni, delle unioni dei comuni, dei comuni montani e delle altre forme associative, delle città metropolitane di tutti gli enti di derivazione comunale”.
La Corte Cost., con la sent. n.189/2015, aveva già precisato che lo scopo dell’ANCI è quello di assicurare l’ottimale realizzazione degli obiettivi perseguiti nello stanziare fondi, e che, in quanto “associazione esponenziale” dei Comuni, è dotata di compiti propositivi e istruttori, nonchè di funzioni di mero supporto ed assistenza.
Ciò permette di escludere l’ANCI dalla qualificazione come ente pubblico ai sensi dell’art. 4 l. cit. n. 70/1975, nè può attribuirsi rilievo in tal senso all’art. 2, comma 1, d.lgs. cit. n. 175/2016, il quale ha una valenza definitoria limitata alla individuazione delle amministrazioni aggiudicatrici, ai fini dell’applicazione della disciplina sugli appalti pubblici.
Inoltre, a differenza delle associazioni fra Comuni – distinte in convenzioni, consorzi e unioni di Comuni-, le quali, nello svolgere in modo coordinato funzioni e servizi determinati secondo le modalità stabilite dagli artt. 30 ss., d.lgs. n. 265/2000 (TUEL), sono ascrivibili alla stessa categoria degli enti locali o degli enti di governo territoriale, di cui hanno la medesima natura e le medesime funzioni pubbliche, l’ANCI “ha una struttura di diritto privato, richiama nel suo statuto, in quanto applicabili, le norme del codice civile (art. 43), non è assoggettata al regime di controllo pubblico, bensì solo al controllo degli organi interni, [i cui scopi sono] del tutto distinti dalle funzioni fondamentali degli enti territoriali, come delineate dagli artt. 118 e 119 Cost.; [e, secondo alcuni dei criteri sopra citati], non può ad essi sostituirsi nello svolgimento dei compiti loro propri; non è dotata dei poteri di imperio di cui questi godono”.
Ancora, l’inserimento dell’ANCI nell’elenco stilato annualmente dall’Istat, “non ha un valore per così dire costitutivo della natura del soggetto inserito, trattandosi di un atto meramente ricognitivo di natura amministrativa, soggetto a variazioni annuali sulla base di criteri di inserimento mutevoli nel tempo, con l’unico scopo di «individuare l’ambito applicativo delle disposizioni in materia di finanza pubblica,.., indicando la platea dei destinatari delle norme di ciascun anno» (Corte conti, sez. riun., 27 novembre 2013, n.7)”.
Dunque, “sebbene l’ANCI veda attribuiti a sé anche compiti di natura tendenzialmente amministrativa, svolti su mandato e dietro finanziamento statale e il cui esercizio è regolato da norme di natura pubblicistica (cfr. Corte Cost., n. 189/2015; art. 272 d.lgs. n. 267/2000), l’assenza di un’espressa previsione normativa che la qualifichi come «ente pubblico» ai sensi dell’art. 4 della legge numero 70/1975, la forma giuridica prescelta e la sua funzione lato sensu sindacale, ossia di rappresentanza degli interessi dei comuni associati e di raccordo con il sistema centrale, inducono ad escludere che essa possa essere annoverata tra le pubbliche amministrazioni indicate nell’art. 1, comma 2, d.lgs.165/2001 [Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche]”. Inoltre, anche l’indagine sugli indici rivelatori della natura pubblicistica dell’ente conduce a risultati negativi, sia per quanto riguarda il fine – che è quello di rappresentare gli interessi di categoria dei Comuni -, sia per quanto riguarda il controllo – che è esercitato dagli organi interni, secondo norme statutarie.
Alla luce di quanto detto, e ai fini della presente decisione, “trattandosi di un soggetto di diritto privato e discutendosi della legittimità di atti non riconducibili all’esercizio di alcun pubblico potere, in mancanza di specifiche disposizioni normative contrarie, la procedura di convocazione dell’assemblea e di nomina del coordinatore regionale [questioni oggetto di gravame] deve dichiararsi sottoposta alla giurisdizione del giudice ordinario”.